Casa FelinaCasa Felina

Scrivere di noi, raccontarci, è qualcosa di entusiasmante, incuriosisce l’ animo se si è ben disposti a sentire l’ umido del mattino nelle narici, ilrumore del chiavistello della stalla, la fertile primavera nei polmoni.

Guardando al presente questa è una storia a lieto fine, piena di soddisfazioni, di buoni raccolti ma anche di schiene curve, di calli sulle mani, di inverni freddi e maledette grandinate, ma soprattutto tanta fatica e duro lavoro da parte dei nostri avi. Ricordare le generazioni di padri che hanno permesso di arrivare sin qui commuove; generazioni eroiche per la loro capacità di adattarsi e resistere alle miserie di allora, per la tenacia dimostrata. Una storia che narra di un legame con madre terra tramandato in maniera viscerale, di bambini che imitano i grandi e vogliono dare in modo immediato il loro contributo manuale.

Una storia di contadini che merita i giusti toni evocativi come a cavallo dei due secoli, tra Ottocento e Novecento, è stata capace certa pittura agreste e alcune novelle del tempo, ma qui non vi è nulla di romanzato.

Una storia vera in questa ruota che gira (il Tempo), con le sue stagioni, i suoi capricci, le sue lune e i suoi contadini eternamente impegnati in un rituale lento e nobile che è il lavorar la terra, la vita nei campi.

La storia ha inizio a pochi passi da "Casa Felina", a Carignano, siamo nel 1878-80. Artemio e Clementina sono braccianti, abitano in un fondo di un ricco proprietario terriero, il Marchese Luigi Malenchini, è per lui che lavorano.
Tempi lontani in cui le strade erano ancora bianche, certo si dormiva su dei materassi fatti di scartoffie, le reti erano pali di legno ma c’ è da dire che l’ isteria della società industriale era lontana cosa.
Ci si scaldava nelle stalle, il luogo prediletto dei contadini braccianti, il nido caldo che veniva raggiunto al tramonto, al termine di una dura giornata di lavoro; non c’ erano bar a quei tempi e i meno abbienti non andavano in piazza.
Qui, al candore di un lume a petrolio, si mangiava qualche boccone di pane, poi i grandi giocavano a carte mentre i più piccoli ascoltavano tra di loro i racconti, paure e fantasticherie; c’ era chi riparava gli attrezzi, chi filava e rammendava le stoffe, e chi trovava il tempo di innamorarsi.
Clementina diede alla luce ben 5 figli di cui quattro maschi ed una femmina: Ennio, Marietta, Romeo, Ugo e Giuseppe.
L’ orario di lavoro andava “da sole a sole” ossia dall’ alba al tramonto e Giuseppe (classe 1893, il più piccolo dei figli) già da bambino aveva la mansione di portare da mangiare ai lavoratori nei campi guadagnandosi benevolmente il titolo di garzò.

Nel 1908 Ugo, di idee socialiste, pensò bene di tesserarsi con le Leghe contadine, siamo agli albori del sindacato agricolo. Parma ed il suo territorio erano una fucina di idee, il dibattito sulle tutele era forte e sentito, in quell’ anno con Alceste De Ambris proprio a Parma ci fu il primo sciopero agrario in Italia: un’ utopia a quei tempi per i proprietari e questo costò caro alla nostra famiglia la quale venne sfrattata dal Marchese.
E fu così che ci si trasferì momentaneamente da Marietta in un piccolo fondo verso Pilastro.

Nel 1910 ci fu un passaggio significativo, si andò ad abitare in un fondo di Casa Simonetta, sempre in zona Carignano, e da braccianti i nostri antenati divennero mezzadri prendendo 57 biolche di terreno (corrispondono a 18 ettari, una biolca è una unità di misura agraria di superficie tipica dell’ Emilia ma non corrispondente tra le diverse province, la biolca parmigiana misura 3081 mq).
I mezzadri erano lavoratori che coltivavano il podere di un padrone ed il raccolto andava diviso con lui. In realtà solo il granoturco veniva diviso a metà, tutti gli altri prodotti (frumento, uva, guadagno della stalla) venivano divisi ad un terzo o ad un quarto, e quando il raccolto era scarso e il mezzadro non poteva pagare i debiti contratti con il padrone, veniva scacciato e passava a fare il bracciante o lo spesato.

Arrivò la Grande Guerra (1915-18) e la famiglia Bonati diede il suo contributo con tre suoi figli al fronte, togliendo così forza-lavoro dai campi; andò meglio a Giuseppe che essendo il quarto maschio fu risparmiato. Altro momento critico, fu la crisi del ’29 che dalla lontana America coinvolse anche i paesi europei con gravi conseguenze: calo della produzione, diminuzione dei prezzi, disoccupazione e drammatici fallimenti.

Nel 1932 Giuseppe sposa Pasquina e dal loro matrimonio nascono Rino (1933) ed Elio (1935) che precocemente già all’ età di nove-dieci anni erano capaci di mungere le bestie a mano; i due andavano a scuola a piedi e indossavano tutto l’ anno braghette corte e certi scarponi inchiodati che pesavano più delle loro teste.
Tra queste campagne passò anche la seconda guerra mondiale, altra piaga feroce del Novecento.
Nel 1948 Giuseppe e famiglia tornarono in affitto in un podere del Marchese Malenchini, Casa Nuova, con un terreno di 60 biolche.
Frumento, granoturco, pomodori, tutto si lavorava a mano, l’ erba per fare il fieno veniva tagliata con falce e forchette ed anche lo stoccaggio nei fienili si faceva a mano.
Per non dire della cura del bestiame, con il letame che veniva caricato su di una carretta e trasportato a mano. Il patrimonio comprendeva due vitelli, otto mucche e due buoi da traino, questi ultimi presi in affitto per lavorare la terra.

Nel 1953 arrivò il grande evento, la forza di mille braccia: Sua Maestà il Trattore! Un periodo buono, si lavorava anche la domenica, il capofamiglia Giuseppe si vestiva a festa per andare a messa ed al mercato in piazza del paese. Nel 1958, sempre sotto il Marchese, si arrivò ad avere in affitto 100 biolche in un altro fondo; un periodo economicamente favorevole con la cipolla grande protagonista a tal punto da avere tutto l’ anno i primi spesati in aiuto nei campi. Nel 1960 Rino prende in sposa Lidia, nascono Maria Assunta (1961) e Giuseppe (1966). Arriva il boom e nel 1969 c’ è il grande salto: l’ acquisto di 50 biolche, e senza far debiti, tutti risparmi onestamente sudati.

Nel 1972 il Marchese rivoleva i due fratelli Rino ed Elio mezzadri e li mise davanti ad un bivio: ritornare mezzadri oppure accollarsi un altro acquisto che comprendeva la cascina e il fabbricato, che poi divenne il fulcro dell’ azienda di oggi. E così i nostri contadini rilevarono il fabbricato, non solo, nel ’76 ci fu un ulteriore sviluppo con l’ aggiunta dei capannoni per il ricovero attrezzi, la casa nuova e la stalla. Due anni dopo finalmente si riuscì a fare anche un pozzo; prima si dipendeva esclusivamente dal canale d’ irrigazione, che d’ estate regalava poche gocce la notte, e da qualche perturbazione amica.

giuseppe

Arriviamo all’ ultimo capitolo di questa “laboriosa” saga. Siamo alla fine degli anni ’80, Giuseppe che da bambino a 6 anni era già sul trattore, 

sisposa con Nadia e dal loro matrimonio nascono Alessia (1988) e Mariaelena (1989), contemporaneamente Giuseppe intraprende gli studi universitari a Bologna laureandosi nei tempi giusti in agraria; nell’ arco di pochi anni è giovane marito con annessa paternità, studente in agraria e coltivatore in campagna. 

E’ ovvio aggiungere che il vero mestiere l’ abbia imparato nei campi, e da lavorare in quegli anni ce n’era visto anche l’ulteriore acquisto nel 1989 di altre 100 biolche di terra dalle sorelle Boschi (familiari ai Boschi pomodori, gli stessi Boschi inventori del salame di Felino).

raccolta basilicoNell’ estate del 1992 ci fu un’ altra metamorfosi, un’altra scommessa che col tempo risultò azzeccata. La brianzola Star propose la coltivazione a basilico, qui da noi nel parmense non se ne sapeva nulla, era una coltura tipicamente ligure.
Le condizioni dell’ accordo erano che loro coprivano le spese di coltivazione ma per noi non ci sarebbe stato alcun utile.
Iniziammo con 3000 mq di coltivazione per vedere se era fattibile o meno. La lavorazione era esclusivamente a mano, il basilico veniva raccolto con le forbici, si andava ad intuito, non si avevano le dovute attrezzature; per fortuna in quell’ estate il clima fu clemente.

Dal 1992 al 1998 la produzione di basilico incontrò difficoltà sia agronomiche che di mercato e relativa vendita. Poi a fine anni ’90 (sempre con la Star) ci fu una crescita importante con un prodotto valido e aumentarono anche le superfici a basilico: molto verde intorno a noi.

Nei primi del 2000 diventiamo fornitori di Barilla e viene fatta una scelta aziendale epocale: la chiusura della stalla. Quindi termina l’allevamento per la produzione di Parmigiano-Reggiano e viriamo tutte le nostre forze in direzione basilico, oltre al beneamato pomodoro.
Anche la produzione di pomodori è andata crescendo in questi anni, e dal 2006 la famiglia Bonati fornisce l’azienda Rodolfi il cui trasformato viene acquisito da Barilla per la produzione dei sughi rossi.

Per concludere diciamo che ne abbiamo viste di nuvole passare sopra a questo terreno, e con la dedizione che ci contraddistingue da sempre noi saremo sempre qui ad aspettare il tempo della semina e il tempo del raccolto. E’ nel nostro dna.